Dolore acuto e Metodo Feldenkrais

Diario di un corpo #14

dolore acuto

Quando mi si rivolge una persona con dolore acuto o che ha appena subito un trauma od un’operazione, consiglio sempre di consultare il proprio medico e nel caso di seguire un percorso riabilitativo prima di tornare nel mio studio.
In primis perché probabilmente c’è bisogno di fare accertamenti che non possono competere a me. Inoltre perché il dolore acuto può essere considerato un fenomeno eccezionale, dal quale ci si riprende secondo dei tempi naturali legati alle capacità di auto guarigione del nostro organismo, e che va sottoposto ad un parere medico.

La fase di apprendimento somatico può essere indispensabile in un secondo momento, passato il periodo eccezionale, rientrati nell’ordinario o nel cronico.

Se ricevo ad esempio una botta alla gamba, prima devo medicare la zona contusa, aspettare che mi passino i sintomi correlati o intervenire secondo protocolli medici perché passino e poi, ad “allarme rientrato” mi conviene verificare la mobilità generale e di alcune articolazioni vicine alla zona incidentata, e magari imparare a disinnescare le tensioni, limitazioni e rigidità che sono sorte in seguito all’infortunio.

Talvolta queste tensioni nascono per limitare dei movimenti che se facessimo ci causerebbero dolore. Seguendo l’esempio di sopra, si può scoprire che in seguito ad un infortunio, se si cammina in un modo un po’ artificioso per le nostre abitudini, non si prova dolore, e allora si continua così finché è necessario. Questo è un modo che utilizziamo per aggirare non solo il dolore acuto, ma anche quello cronico.
Ad ogni modo questo nuovo adattamento comporta tutta una serie di tensioni e compensazioni che si aggiungono al lavoro che già si fa abitualmente e che possono causare problematiche altrove a distanza di tempo, e qui penso all’Effetto Farfalla di cui ha poeticamente parlato il matematico Edward Lorenz.(¹)

Talvolta invece certe tensioni nascono per continuare a proteggere la parte che si è fatta male, per una inconsapevole paura che ricapiti.(²)

Nel primo caso, cioè quello delle tensioni che mettiamo in atto per aggirare il dolore, se il recupero è breve, probabilmente se ne andranno via da sole non appena il dolore sparirà. Ma se sono diventate una nuova abitudine sarà indispensabile fare qualcosa per riscoprire dei modi più funzionali per muoversi ed evitare complicazioni.

Nel secondo caso invece le tensioni protettive e limitanti secondo me rimangono in proporzione al danno subito e allo spavento procurato. Un colpo da niente si dimentica in fretta (³).

L’educazione motoria quindi entra in gioco quando la fase di dolore acuto rientra e si può liberamente esplorare con curiosità e voglia di migliorare le possibilità di movimento. Per espandere la comodità e recuperare efficienza e mobilità.

Se è tutto chiaro, posso ora dire che però c’è stato un caso in cui non ho proprio rispettato quanto appena descritto: quando mi sono infortunato alla caviglia sinistra, poche settimane fa. Ma, come scriveva Michael Ende, questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta…

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1) «Può il battito delle ali di una farfalla in Brasile scatenare un tornado in Texas?» (Lorenz all’American Association for the Advancement of Sciences, 1979). Lorenz fu uno dei pionieri della teoria del caos, ma attenzione: scopro da Wiki che Alan Turing aveva anticipato alcuni elementi dell’Effetto Farfalla nel 1950, con parole che mi hanno colpito: «Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza.» (Alan Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza, 1950).
Ps, divagazione nella divagazione: dato il potenziale dell’argomento, quanto fu deludente il film The Butterfly Effect? 😀 

2) Ho accennato a quelle che molti chiamano memorie traumatiche del corpo in diverse occasioni, l’ultima qui, mentre parlavo della mandibola.

3) Questa appena presentata, ovviamente, è una semplificazione. Ad ogni modo sono dell’avviso che ben più di quanto ci si aspetti venga “registrato” nel nostro schema motorio.

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