La mandibola

Diario di un corpo 13

MANDIBOLA

Quando avevo una decina di anni, caddi da uno scivolo a testa in giù. La prima cosa che impattò contro il pavimento fu il mento, poi il resto del corpo.
Stavo giocando con parecchi amici a “ce l’hai sugli scivoli”, la versione del noto acchiapparello che in questo caso avveniva solo in una determinata area del cortile di casa, dove c’erano due scivoli.

Dato che in quel cortile ci passavo tutte le mie giornate, avevo imparato a salire e a scendere da quegli scivoli in decine di maniere, molto spesso sfidando l’occhio di un adulto supervisore che mi intimava di stare attento a non cadere.
Ero uno di quei bambini vivaci che giocano col senso del pericolo, e probabilmente anche con la preoccupazione degli adulti che osservano.
Ricordo semplicemente che mentre stavo cadendo (più che una caduta era un tuffo a testa in giù) pensavo di aver infranto un tabù. Stavo facendo qualcosa di “vietato”, che non poteva essere fatto: cadere. Se dovessi rielaborare razionalmente quel momento direi che stavo pensando qualcosa come “quindi sto veramente cadendo”.
Poi non ricordo nulla.
Gli amici lì attorno mi dissero poi che rimasi fermo e silente per quasi dieci secondi, dopo l’impatto, per poi urlare fortissimo piangendo.
Poi, dopo qualche ora ero apparentemente come nuovo.

La mandibola di un adulto pesa intorno ai 700 grammi, e viene tenuta costantemente sollevata da dei muscoli praticamente instancabili.
La mandibola è coinvolta in tantissime funzioni umane fondamentali: la usiamo per comunicare, per mangiare, per assaggiare, per dare un bacio, per esprimere visivamente molte emozioni, tra cui rabbia e tristezza.(¹)

Durante la formazione Feldenkrais ci sono state alcune giornate dedicate alla funzionalità mandibola. Ricordo che mi ero portato a casa l’idea di lavorare tenendo un oggetto cilindrico tra i denti (come un tappo di sughero, o qualcosa con un diametro più piccolo) per farlo scorrere a rallentatore verso destra e sinistra, e inclinarlo in su e in giù, per notare come coordinavo quel movimento.

Dopo un paio di giorni trascorsi accompagnato da questa idea, un giorno mi svegliai con la faccia tutta indolenzita.
Mi sembrava di essere stato preso a pugni su entrambi i lati del volto, avevo male sia che muovessi la mandibola sia che la lasciassi ferma. Poi dopo altri due giorni il dolore sparì, e iniziai a rendermi conto di molti atteggiamenti mandibolari che mettevo in atto e che fino ad allora facevo senza che me ne accorgessi; smettendo, ad esempio, di serrare la bocca ad ogni sforzo.

Fu allora che mi ricordai dell’incidente riportato ad inizio post, che altrimenti sarebbe rimasto dimenticato come tutte le altre piccole e grandi cadute subite.
Ed è così che ho sperimentato per la prima volta su di me che il corpo continua a difendersi dai traumi subiti con atteggiamenti muscolari protettivi nei confronti dell’area che è stata lesa, proprio come facciamo con atteggiamenti caratteriali verso quelle situazioni che più temiamo o ci hanno fatto più soffrire in passato.

Perché il dolore durante la prima fase di riorganizzazione?

Quando i muscoli tonici tengono in una posizione fissa e di autodifesa determinati segmenti scheletrici, solitamente non sentiamo il lavoro e la fatica associati a questo atteggiamento. Come detto altrove, i muscoli tonici sono difficilmente affaticabili.(²)
Quando questa “postura” di protezione può andare finalmente a riposo – grazie ad esempio alle informazioni che il sistema nervoso riceve durante una Integrazione Funzionale o una lezione di Consapevolezza Attraverso il Movimento,- questi muscoli, che hanno lavorato giorno e notte per mesi o anni, finalmente possono distendersi e procurano una sensazione di indolenzimento come quando capita dopo una sessione in palestra. Mentre si stanno riparando e ristrutturando, riorganizzandosi secondo esigenze finalmente aggiornate, ogni reclutamento è doloroso. Poi potranno tornare ad essere silenziosi come è loro abitudine.

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(1) Inoltre è molto rappresentata nella corteccia sensomotoria.

(2) Provocano dolore diretto quando si tenta di modificare meccanicamente la loro lunghezza, premendo più o meno intensamente con le dita.

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