Che cosa è una buona postura? #2 – Un’idea funzionale

Nel post precedente ho parlato del tema “buona postura”. Ho l’impressione che quando si affronta l’argomento si diano per scontati numerosi luoghi comuni su cui può essere opportuno soffermarsi.
Sovente infatti per “buona postura” si intende qualcosa di valido da un punto di vista estetico, ma come ho scritto questo modo di pensare secondo me incombe in numerose falle.

Cosa è buona postura secondo me?

La mia esperienza nel Metodo Feldenkrais mi fa pensare innanzitutto a qualcosa che ha a che fare con l’azione.
Il dr. Feldenkrais non amava troppo il termine “postura” perché gli trasmetteva un’idea eccessiva di fissità e propose una sorta di neologismo, “attura”, conferendo così alla parola la relazione con l’azione. Non esiste nessuna posizione completamente statica, ad esempio da seduti o da in piedi si oscilla costantemente, c’è sempre una certa attività muscolare.

Caratteristiche della “buona postura”

– La buona postura ha a che fare con tutta la nostra persona sia che camminiamo, sia che stiamo seduti o in piedi, sia che dormiamo o corriamo. Sia che siamo felici, arrabbiati o tristi.

– A prescindere dall’azione che stiamo compiendo, avere una buona postura è innanzitutto sinonimo di comodità, con la sensazione di stare a proprio agio.

– Ha a che fare con versatilità e prontezza, cioè la capacità di cambiare azione in modo repentino se le circostanze lo richiedono, o di intraprendere una nuova azione senza doversi prima preparare. Potremmo quindi definirla uno stato neutro.

– Avere una “buona postura” permette di sentirsi leggeri, ma anche di avere una sensazione di interezza, di percepire l’intero sé durante le azioni che si compiono.

– Chiedersi come si percepiscono i vari segmenti del corpo restituisce informazioni decisamente più utili rispetto a chiedersi se la propria postura è buona o cattiva.

– Buona postura è anche eleganza: quando qualcuno si muove in maniera efficiente ha un portamento leggiadro, dall’esterno sembra che compia ogni azione con facilità, tutti gli aspetti del movimento sono collegati tra loro. Queste, per dirla sbrigativamente, sono cose sconosciute ai “dritti” e ai “rigidi”.

Per farla breve è ciò che ci permette di fare quello che vogliamo fare nel modo in cui preferiamo.
È parte di un processo, non è un obiettivo da raggiungere.

Come si progredisce in questo processo? Una domanda alla volta…

Il corpo questo sconosciuto

A questo punto a mio avviso viene spontanea una domanda: come mai siamo tanto abituati a pensare in modo fallace, o per lo meno poco utile, come ho espresso nel primo post? Perché molti sono convinti di avere una “postura sbagliata” e che sia necessario fare qualcosa – senza sapere cosa si sta facendo – per “correggerla”?

Probabilmente perché consideriamo il corpo come “altro da noi”, qualcosa da correggere quando non ci soddisfa. Una macchina che se ben mantenuta non dà problemi.

Quindi finiamo per essere quasi degli ospiti in casa propria. Quando si prova dolore da qualche parte è assai raro che si conosca anche la causa, ognuno fa ipotesi più o meno suggestive e interessanti in merito. Insomma può risultare assai difficile interpretare i cosiddetti “segnali del corpo”.
Ecco, questa espressione molto usata, “segnali del corpo”, mi sembra che esprima un pensiero di fondo, non esplicito, che considera il corpo come qualcosa di estraneo che però, bontà sua, comunica con “noi” (noi chi?) in un linguaggio che non conosciamo… Per ragioni analoghe suppongo che spesso si utilizzino espressioni come “il mio corpo mi dice…”. 

Ciò a cui ci riferiamo quando diciamo “io” e ciò a cui ci riferiamo quando diciamo “il mio corpo” sembrano così due entità separate, e si forma un luogo comune che probabilmente rafforziamo col linguaggio e il modo di pensare.

Una nuova domanda

Ma è proprio così?

La consapevolezza corporea è quindi qualcosa di mediamente molto trascurato benché pullulino le cosiddette “tecniche corporee” (espressione curiosa, alla luce di quanto scritto poche righe fa, no?)…

È sempre stato così? Non intendo nella storia dell’umanità, ma nella storia di ognuno di noi.

Questa domanda può aprire un altro panorama che sarà argomento del terzo post

ps: l’immagine che apre il post è ironica!

pps: link alla PARTE UNO

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