Raggirare le tensioni muscolari?

cervello luce idea
Una scoperta: la polifunzionalità neuronale

A novembre 2019 ho assistito ad una conferenza del dr. Vittorio Gallese incentrata sulla ricerca, condotta da lui e il suo gruppo, che ha portato alla scoperta dei cosiddetti “neuroni specchio”. In un paio di ore ha condensato più di venti anni di ricerca e chi vuole può trovare la conferenza interamente disponibile sul canale YouTube dell’Associazione Italiana Insegnanti Metodo Feldenkrais.
Ci sono tanti passaggi del discorso del prof. Gallese che mi sono rimasti impressi, e che sono stati spunti che mi hanno fatto riflettere per lunghi mesi su come lavorare per ridurre le tensioni muscolari profonde dei clienti. In particolare quelli di questo video, dal minuto 7 fino al minuto 12 circa.
Per cercare di sintetizzare al massimo, possibilmente senza fare un torto alla complessità dell’argomento: i neuroni hanno la caratteristica di essere multifunzionali, ad esempio neuroni dedicati al movimento possono avere anche proprietà sensoriali.[1]

È stato osservato che un neurone che si attiva quando giriamo la testa verso sinistra, si attiva anche se qualcosa tocca il lato sinistro del volto senza che produciamo alcun movimento con la testa. Si attiva inoltre anche se un oggetto si avvicina ed entra nel nostro spazio peripersonale in prossimità della parte sinistra della testa.

Di conseguenza se tengo il volto fermo ho a disposizione più neuroni per poter percepire meglio, mentre se sto facendo movimenti ampi o grossolani con la testa, la capacità di percezione sensoriale diminuisce perché un numero maggiore di neuroni vengono ingaggiati dall’attività di movimento a discapito dell’attività sensoriale.[2]

Feldenkrais è fare e sentire contemporaneamente, o “sentir facendo”.

Chi lavora con il Metodo Feldenkrais ha bisogno di ricercare la migliore auto-organizzazione possibile durante il lavoro con il cliente in maniera tale da ridurre la tensione nei muscoli delle braccia. Quando tocco un cliente e muovo le sue articolazioni cerco di avere le braccia e le mani il più leggere possibili, solo così posso sentire cosa succede con le mani e invitare in maniera implicita il cliente a fare altrettanto. Se invece questi percepisce che viene messo in movimento con un lavoro eseguito esclusivamente dalle mie braccia, senza coinvolgere il resto del corpo, tende ad irrigidirsi e a non accogliere la proposta di movimento.

Quando le mie braccia si occupano di trasmettere un movimento che proviene dal centro del mio corpo, il movimento viene trasmesso al sistema muscolo-scheletrico del cliente che lo accoglie con migliore predisposizione.
In poche parole il cliente “sente” e rifiuta, consapevolmente o meno, lo sforzo di chi lavora con lui. In assenza di sforzo il movimento va in profondità, e viene accompagnato da una sensazione di grande piacevolezza. Lavorare in questo modo produce dei riaggiustamenti spontanei che coinvolgono funzioni fondamentali dell’essere umano, come la respirazione o il mantenersi in equilibrio.

Riallacciandomi alle parole del prof. Gallese, avviene anche che le mie braccia e le mie mani, non trovandosi impegnate ad eseguire movimenti grossolani e sforzi superflui, possono continuare a sentire il contatto con il cliente. Il contatto non si perde perché la funzione sensoriale dei neuroni di quell’area del mio corpo non viene sostituita dalla funzione di movimento.

Questo è molto importante perché le cosiddette “manovre” Feldenkrais non sono un “fare”. Quando “faccio” qualcosa senza sentire ciò che faccio, probabilmente ho smesso di fare Feldenkrais.
Feldenkrais è fare e sentire contemporaneamente, o “sentir facendo”. Le mani sono sempre in ascolto. È relazione. Le mani interrogano, danno informazioni, non impartiscono ordini.

Questo solitamente provoca grande stupore nei nuovi clienti che non hanno mai provato il Feldenkrais. A volte sono increduli nel constatare come dei tocchi e dei movimenti delicati siano stati in grado di procurare dei cambiamenti tanto profondi, interni, spontanei, anche apparentemente scollegati tra loro. Ed è per loro nuova la possibilità di poter rimanere in uno stato di profondo rilassamento mentre ricevono delle “manipolazioni” corporee. La persona si rialza in uno stato psico-fisico molto diverso da quello in cui si trovava prima dell’incontro.

Si può lavorare non solo sulla percezione di sé, ma anche sull’utilizzo del corpo come strumento di percezione

 

feldenkrais tensioni profonde

Quanto appena scritto si può applicare anche con il lavoro col cliente: come ho detto, se io utilizzo me stesso in maniera tale da avere le braccia e le mani il più possibile “neutre”, pronte all’azione, di conseguenza non le irrigidisco e posso sentire di più.
Se diminuisce l’intensità dell’azione, aumenta la sensibilità: questo è uno dei fondamenti del Metodo.

Di conseguenza ci sono tantissime possibilità da tenere in considerazione nella pratica Feldenrkais. E spesso, in molti clienti, ci sono tensioni così sottili e profonde nell’organizzazione scheletrica che sono difficili da contattare e mettere in discussione.

Si può lavorare non solo sulla percezione di sé, ma anche sull’utilizzo del corpo come strumento di percezione. Se è vero che per migliorare la propria auto-organizzazione è necessario percepire con una migliore qualità lo scheletro, possiamo anche considerare il corpo come un “involucro” che interagisce col mondo esterno e che da questo è separato.
Il cliente che lamenta “rigidità” quindi non solo non percepisce le zone maggiormente contratte, non solo in quelle zone ha scarsa mobilità, ma lì inibisce anche la percezione tattile.

Quindi mi sembra lecito chiedersi: com’è possibile lavorare con il corpo senza tenere presenti queste proprietà fondamentali del sistema corpo-mente? Risulta sempre più chiaro che lasciamo da parte qualcosa di importante quando consideriamo il corpo come una macchina che va strutturalmente aggiustata.

Lavorare tenendo in conto tutto ciò permette di trovare diverse strategie per ingaggiare i neuroni che in sottofondo vengono adoperati per mantenere perennemente in tensione alcuni muscoli (le famose resistenze muscolari di cui non abbiamo consapevolezza). Si può dire che in molti casi le tensioni profonde vengano “raggirate” e come conseguenza si riducano considerevolmente. Così l’organizzazione muscolo-scheletrica cambia e lo scheletro si riallinea più funzionalmente.
Alcune zone del corpo si “risvegliano” e si scopre così che prima giacevano in zone cieche della nostra percezione.

L’Integrazione Funzionale Feldenkrais stabilisce un contatto e un dialogo tra due sistemi nervosi in grado di generare un cambiamento interno e spontaneo. Il risultato, spesso inaspettato, presenta parecchie caratteristiche tra cui: migliore equilibrio, più fluidità nei movimenti, respirazione più ampia e piacevole, miglior allineamento scheletrico, sensazione di leggerezza e benessere generali…

 

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[1] Il dr. Michael Moskowitz scoprì che neuroni coinvolti nella percezione del dolore cronico vengono utilizzati anche per l’immaginazione visiva, e così invitava i suoi pazienti a fare degli esercizi di immaginazione molto lunghi per ridurre e in certi casi eliminare il dolore, raggiungendo risultati interessanti e documentati (cfr. Le guarigioni del cervello di N. Doidge)

[2] Altro esempio: se tocco un muro con la mano molto leggera, posso percepire le irregolarità rilasciate dal passaggio delle setole del pennello che ha dipinto la parete. Se applico un peso al polso, la percezione cambia. Chi ha problemi alle articolazioni delle mani (tipo artrosi) ha anche una sensibilità ridotta.

2 commenti

  1. Salve,
    perché non citare anche James W. che diceva “sono triste perché piango” e non “piango perché sono triste” ? Intuizioni del XIX secolo confermate dai processi neurologici ‘incosci’ …

    • Gentile Alberto, grazie per il commento. Mi scusi se impiego tanto a risponderle, ma un commento autentico si perde in mezzo ad un mare di spam e ho trovato il suo più tardi del dovuto.
      Interessante segnalazione, l’argomento che solleva meriterebbe una trattazione a parte. Anche il dr. Feldenkrais cita William James nel suo libro “Il corpo e il comportamento maturo”, in cui argomenta la sua visione che mi sembra si trovi piuttosto a metà strada tra “piango perché sono triste” e “sono triste perché piango”.
      Un saluto,
      Paolo

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